Il Cloud per le aziende spiegato in poche semplici parole  
venerdì, 20 settembre, 2013, 22:27 - Generale


A meno che negli ultimi anni non siate vissuti in un eremo sulle Valli del Pasubio, sicuramente avrete sentito parlare del cloud computing.
Il vostro responsabile IT vi dice che il cloud è sempre il solito web hosting a cui per ragioni di marketing hanno cambiato nome.
Vostro figlio grazie allo smartphone usa il cloud con soddisfazione, mentre la vostra azienda non sa nemmeno cosa sia?
E infine, il cloud potrebbe essere un vantaggio competitivo? Come?

Questo articolo farà chiarezza sull'argomento, spiegando con semplici parole ed esempi cos'è il cloud e quali grandi opportunità offre alle aziende.
La cosa che verrà alla luce sin dall'inizio è che il cloud è per tutti, non esistono aziende che non sono adatte per il cloud. Esistono solo aziende che ci sono arrivate per prime e aziende che comunque prima o poi dovranno arrivarci.
Dovete solo decidere se volete arrivarci per ultimi.

Partiamo dall'inizio: i server

C'erano una volta le reti aziendali.
In una stanzetta dedicata, con l'aria condizionata a piena potenza anche d'inverno, c'erano i server, molti server,

quello con il gestionale,
quello con i progetti e i documenti (spesso anche uno aggiuntivo che fa da intranet),
quello che gestisce gli utenti della rete (primary domain controller),
quello che subentra nel caso si rompa il precedente (backup domain controller),
quello che gestisce la posta elettronica,
quello che fa il backup alla rete aziendale,
quello che fa da firewall per evitare l'intrusione di hacker da Internet.


Fino a qui ho descritto la situazione tipica della piccola azienda, la più piccola configurazione possibile se volete una rete sicura e minimamente fault-tolerant.
Se poi nel vostro business non vi potete permettere qualche giorno di stop in caso di rottura di uno dei server, allora probabilmente tutti i precedenti li avete duplicati in un cluster, in modo che se si rompe un server il suo gemello entra in azione istantaneamente.
Sì perché i server si rompono, ne so qualcosa credetemi, si rompono i dischi, gli alimentatori, le schede di rete... e si rompono spesso, anche se li avete comprati di marca prestigiosa.

Tutto questo ha un enorme costo!

L'hardware costa;
diventa obsoleto velocemente;
poi bisogna comprare il software (sistemi operativi, database, gestionali, ecc.);
anche il software diventa obsoleto e va aggiornato, persino più frequentemente dell'hardware;
tutto questo non funziona da solo, ci vogliono risorse umane competenti e specializzate.


Poi è arrivata la virtualizzazione


Un giorno è arrivato qualcuno e vi ha detto: "Lo sai che i tuoi server per il 90% del tempo sono fermi a fare niente?"
Ma come, oltre al danno anche la beffa!? Costano un sacco, si rompono e poi lavorano pochissimo, solo al 10% delle loro potenzialità?!

La soluzione che vi hanno proposto è stata la virtualizzazione dei server: in poche parole un programma prende il vostro server fisico e fa credere alla rete aziendale e a tutti i vostri utenti che invece ci siano ad esempio cinque server. Praticamente con il costo di un server ce ne troviamo cinque! E va tutto alla grande senza perdita di performance, vi ricordate infatti che i server per il 90% del tempo non facevano niente?

Bene! In questa maniera abbiamo abbassato notevolmente i costi... abbiamo però alzato i rischi, perché se si rompe il nostro server fisico, sarà come si rompessero cinque server tutti assieme (quelli virtuali).
Dobbiamo dunque potenziare tutta l'infrastruttura di backup e disaster-recovery... sarà meglio mandare a fare qualche corso il nostro amministratore di rete.

Stop ai costi fissi, arriva il cloud

Il cloud oltre ad offrire nuove ed incredibili opportunità applicative (lo vedremo fra poco), è anche un modo per cancellare i costi fissi e abbattere drasticamente il budget necessario alla gestione di una rete aziendale.
In poche parole eliminate la maggior parte dei server (se non addirittura tutti) e mettete tutto il resto nel cloud. Ci sono provider specializzati, ad esempio Microsoft con il suo Windows Azure, che vi mettono a disposizione tutti i server di cui avete bisogno... a distanza.

Quali sono i vantaggi?

Non dovrete mai più preoccuparvi dell'obsolescenza dell'hardware, ci pensa il provider ad aggiornare i vostri server.
Per lo stesso motivo non dovrete mai più preoccuparvi dell'obsolescenza del software.
Non dovrete più preoccuparvi di salvare i dati e avere server duplicati nel caso se ne rompa qualcuno, il vostro provider renderà i vostri dati ridondanti, sia mettendoli su più server, sia distribuendoli geograficamente sul pianeta: se dovesse scoppiare un incendio nella stanza dove si trova il vostro server, ne subentrerà istantaneamente un altro con tutti i vostri dati aggiornati, ma che si trova geograficamente da un'altra parte.
Beneficerete dunque di un'infrastruttura di sicurezza che voi non potreste nemmeno permettervi.
Ah, e non dimentichiamo anche i costi dell'aria condizionata e il suo impatto dal punto di vista della sostenibilità ecologica: questo adesso non è più un problema vostro, Microsoft possiede ad esempio un data center con migliaia di server... in Islanda. Gli basta tenere la finestra aperta.

Bello, ma quanto costa?

Non è tanto il prezzo, che comunque è estremamente inferiore ai costi di gestione di una rete privata, ma è il modello di pagamento che è cambiato: si paga al consumo. Avete capito bene, non ha importanza quanti server avete, ma quanto li usate.
E come se non bastasse potete cambiarli di continuo: se ad esempio per un periodo dell'anno vi serve più potenza, la aumentate con un click e la riportate indietro quando non vi serve più. E' come avere una rete che potete riconfigurare di continuo a vostro piacimento e senza neanche un secondo di stop all'attività aziendale.

Opportunità applicative

Fino adesso abbiamo parlato solo di abbattimento dei costi e aumento della qualità dei servizi, ma cosa c'è di nuovo dal punto di vista applicativo? Cioè cosa posso fare che prima non potevo?
La maggior parte delle persone associa il concetto di cloud al data storage distribuito, cioè alla conservazione di file in un posto centralizzato accessibile da diversi dispositivi.
In effetti questa è una funzionalità molto interessante, faccio le foto delle vacanze con il mio smartphone, torno a casa e senza doverlo collegare mi trovo già tutte le foto sul PC. Scelgo quelle che voglio tenere, scarto quelle brutte, magari elaboro quelle belle e poi senza dover collegare niente vado con il mio tablet dalla mamma e le faccio vedere le foto delle vacanze. Com'è possibile questa magia? Semplicemente le foto non si trovano sul dispositivo che le sta riproducendo, ma sono nel cloud, in una zona a noi riservata dove possono accedere tutti i nostri dispositivi.

Il cloud computing può dare molto di più di così. Si divide in 3 tipologie:

IaaS (Infrastructure as a Service): è sostanzialmente quello di cui abbiamo parlato finora e niente di più, il provider vi rende disponibile un'infrastruttura hardware (server, rete, dischi, ecc.) con un modello di pagamento a consumo. In questa categoria ricade ad esempio Aruba Cloud.
PaaS (Platform as a Service): qui siamo un passo oltre l'IAAS, il provider oltre all'hardware mi mette a disposizione un piattaforma applicativa su cui sviluppare software, dandovi molte funzionalità che sarebbero assai complesse da sviluppare autonomamente. Ad esempio la comunicazione fra servizi, la replicazione dei dati, servizi di autenticazione, ecc. In questa categoria ricade Windows Azure.
SaaS (Software as a Service): è il livello di astrazione massimo, il provider vi mette a disposizione applicazioni, a voi è nascosto sia l'hardware che c'è alla base, sia vi è preclusa la possibilità di sviluppare altre applicazioni. Ad esempio Microsoft vi offre Office 365, Adobe vi dà pieno accesso a tutti i suoi strumenti con la Creative Cloud, con Google Drive potete elaborare documenti, ecc.

Conclusioni

E' evidente ormai che non parliamo solo di condividere dati, ma di collaborare per crearli, di usare applicazioni e dialogare con dispositivi differenti.
Vediamo ad esempio un caso affrontato di recente da Idea R:

1. Un vostro cliente usa il portale web per chiedervi assistenza.

2. Il supervisore dell'assistenza tecnica vede nel suo applicativo aziendale che c'è bisogno di un intervento sul posto e decide di inviare un tecnico.

3.Il tecnico riceve sul suo smartphone la scheda di intervento e il navigatore gli indica la strada più breve per raggiungere il cliente.

4. Dopo l'intervento il cliente firma il rapporto di intervento direttamente sul tablet del tecnico.

5. La sede centrale ha seguito passo passo l'evolversi dell'intervento ed è in grado di emettere fattura all'istante.

6. Se l'intervento è stato particolarmente complesso, tutte le informazioni finiscono automaticamente nella knowledge base aziendale, in modo che ne benefici sia l'ufficio progettazione che potrà prevenire in futuro il problema, sia lo staff tecnico che saprà come intervenire se il problema si riproponesse.


Provate voi a replicare la struttura applicativa precedente facendo tutto in casa, garantendo l'h24 e con hardware di vostra proprietà... poi mi dite quanto è costato.
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Il post perfetto: breve o lungo? 
giovedì, 19 settembre, 2013, 21:58 - Generale


Questione arcinota ma sempre affascinante: meglio il post breve o quello lungo? La risposta è semplice: dipende. Dipende dall’argomento, dipende dagli approfondimenti e dal target.

Il target. Questo sconosciuto. Quante volte hai scritto solo per soddisfare il tuo ego? Troppe, è logico. Gli scrittori amano scrivere e si lasciano andare.

Poi quando arrivano i vincoli del target, del marketing, delle esigenze professionali… Mi dispiace: sei un webwriter e devi scrivere per farti leggere e capire, non per autocelebrarti.

Non esiste una formula magica, non esiste un solo motivo per scegliere a priori un modello piuttosto che un altro. Ma ho sempre difeso la semplicità. La chiarezza. La lettura facile e veloce.

Questione di stile, certo. Ma non solo. Sul web la semplicità, il dono della sintesi, è oro. Perché chi arriva sulla tua pagina, molto probabilmente la esplorerà con metodo.

Ma difficilmente la leggerà tutta. Quindi devi togliere il superfluo. Devi spezzare il testo (prendi esempio da Telegraph.com) e usare una sintassi lineare. Devi evitare termini vuoti, avverbi e aggettivi che appesantiscono il testo.

Cosa resta dell’articolo? Soggetto, verbo e complemento. No, non ti piace tutto questo.

Tu vuoi articoli altisonanti e criptici per ammirare, nella penombra del tuo ufficio, l’espressione sbalordita del lettore. Un lettore che non tornerà più sul tuo blog. Metti insieme 500 lettori delusi e cosa ottieni? Un blog fallito.

Torniamo al discorso iniziale. È inutile domandare a un blogger qual è la lunghezza giusta di un post: la lunghezza giusta la decide il lettore. Sarà lui a premiarti o a punirti.

I tuoi lettori cosa preferiscono? Post lunghi o brevi? E tu? Prediligi articoli completi ma efficaci o post che si perdono in mille parole inutili?

N.B. Il lettore non è ignorante. Sei tu che non sai comunicare!
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Marketing su Foursquare, cinque strategie per il proprio marchio o azienda  
mercoledì, 18 settembre, 2013, 20:16 - Social networks


Unite e superate la dicotomia tra mondo reale e virtuale non è solo la trama del film Matrix di Lana e Andy Wachowski, ma è quel che Foursquare permette con un semplice smartphone in strada tutti i giorni. Questo social network di geolocalizzazione, infatti, fornisce una mappa sempre aggiornata dei luoghi intorno e un'ampio parterre di offerte e promozioni da riscattare attraverso la segnalazione della propria posizione. La piattaforma è adatta sia per chi ha una piccola bottega, una catena nazionale o un marchio, in quanto fornisce loro gli strumenti per interagire con clienti e fan attraverso precise attività di marketing geolocalizzato. Quali sono le azioni di marketing che un'azienda può fare quindi su Foursquare?

Essenzialmente cinque sono le strategie che possono essere intraprese:

- Creare un concorso a punti: i premi vengono conquistati in base alle azioni degli utenti, generalmente sotto un profilo quantitativo. Es. di Starbucks: un caffè gratis dopo un check-in in cinque filiali diverse;
- Punti fedeltà: dopo un numero di check-in viene creata una graduatoria, la cui leadership è detenuta da chi ha compiuto più check-in in un luogo. A costui sono destinati particolari favori, sconti parziali o totali o pubblicazione del profilo in un luogo pubblico;
- Testimonial: sfruttare la notorietà di un personaggio per un ritorno di immagine elevato. I Maroon 5 hanno un profilo su Foursquare e attraverso i loro check-in fanno sapere ai propri fan i luoghi preferiti;
- Gioco nel gioco: creare un gioco come una caccia al tesoro coinvolgendo diversi esercizi commerciali lungo il tracciato del percorso. Es. Vinitaly.
- Promozione di eventi: all'Heineken Jamming Festival sono stati creati degli spot con i relativi loghi delle aziende che vi hanno preso parte.


Come si intuisce sono tutte azioni di marketing riprese dal mondo dell’offline e riproposte sul mondo online. La differenza di fondo sta nelle conversazioni e nel tracciamento. Il passaparola online nei casi virali può raggiungere qualsiasi utente connesso alla rete anche se non ha fruito direttamente della promozione. Tuttavia, non si può negare, sono realmente pochi i casi di successo che travalicano i confini locali o nazionali. In un tale contesto, non dimentico mai di ricordarlo, l’azienda deve essere disponibile ad ascoltare queste conversazioni, a parteciparvi e a cogliere questi check-in volontari degli individui come opportunità di business, offrendo contenuti di qualità e gestendo al meglio eventuali crisi.
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I rudimenti del personal branding: la foto di Linkedin 
martedì, 17 settembre, 2013, 12:01 - Social networks


So benissimo che non ci si dovrebbe mai fermare alle apparenze, ma purtroppo sono loro a dettare legge quando uno è distratto e ha fretta di valutare qualcuno che potrebbe diventare un dipendente, partner commerciale, fornitore o semplicemente un consulente.

Ho circa 400 professionisti collegati su Linkedin e ogni volta mi stupisco dell’unica immagine consentita a corredo del profilo, alcuni di esse sono veramente incredibili: c’è chi posta la foto vestito da crociato (immagino sia stata fatta ad una rievocazione storica), chi la foto del cane o gatto di famiglia. Chi la foto del figlio, oppure lui da bambino sporco di cioccolata, alcuni monumenti storici e simboli di partito; oppure simboli contro la caccia, per la pace, contro la guerra, per la legalizzazione delle droghe leggere e altre amenità inqualificabili.
Non servono particolari sforzi artistici, si tratta di una foto sola che vi ritrae in primo piano, magari in giacca e cravatta (per gli uomini), mentre le donne hanno qualche libertà in più e mi raccomando senza gli occhiali da sole. Nella foto dovrete apparire sorridenti ma non troppo e trasmettere sicurezza e simpatia (per quanto è possibile).

Alcune eccezioni sono consentite: chi fa un lavoro creativo, oppure basa il suo personal branding su un’immagine particolare già riconosciuta in altre piattaforme o blog può riproporla in modo da essere subito riconoscibile.
Alcuni non mettono la foto, se siete preoccupati per la vostra privacy allora il web non fa per voi.
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6 invenzioni (più o meno) geniali che uniscono l’uomo al computer 
lunedì, 16 settembre, 2013, 22:29 - Generale


Quando si volge lo sguardo alle nuove tecnologie, capita di intravedere degli strani percorsi, che per esempio partono da un computer, passano nel corpo, nella pelle, nel cervello e poi tornano al computer. Per capire cosa sto dicendo scoprite con me queste 6 nuove trovate tecnologiche…

1) La password nel polso


Partiamo da un annoso quanto noto problema: le password. Per lavorare col computer in modo sicuro servono password altrettanto sicure, ma la maggior parte delle persone usa sempre la stessa per tutto, e neppure le password lunghe sono al sicuro dal rischio hackeraggio. Per risolvere il problema hanno inventato Nymi, un bracciale che riconosce il nostro peculiare ritmo cardiaco e lo usa come parametro di autenticazione, comunicandolo ai devices intorno a noi tramite sensori di prossimità:



Se però non volete aspettare il lancio sul mercato di Nymi o pensate di non poterne dare uno in dotazione a ogni vostro dipendente, vi ricordo che potete più semplicemente contattare REISER per risolvere i problemi di sicurezza informatica nella vostra azienda.

2) Dal polso allo smartphone

Sempre in tema di wearable technology -la tecnologia indossabile tanto di moda in questo periodo- possiamo metterci al polso anche Jawbone Up, un bracciale che rileva alcuni dati bioritmici e li trasmette all’apposita app per smartphone. In questo modo si tengono sotto controllo molte informazioni sui nostri bioritmi quotidiani, dalle ore e qualità del sonno (con la possibilità di essere svegliati da una vibrazione nel momento meno indolore della mattina), alla quantità di movimento, dall’umore alle abitudini alimentari. Un’ottima invenzione per unire un approccio olistico al proprio stile di vita con la tecnologia!

3) Dentro e fuori la pelle

L’uomo ha la tendenza a costruire robot a sua immagine e somiglianza, ma per assomigliarci il robot ha bisogno di una copertura di pelle: bene, questa è pronta. È stato applicato un circuito su una superficie estremamente elastica e resistente. Solo che poi gli scienziati hanno pensato “e se invece la usassimo per potenziare la pelle umana?”. Così al posto dei sensori per pressione e temperatura avremo dei rilevatori di parametri vitali e magari chissà, una fonte di rete wireless. Ci sta lavorando il team di Takao Someya all’Università di Tokyo.

4) La salute vien dal cielo


A proposito di pelle, corpo e relativa salute, in Germania hanno inventato il drone porta-defibrillatore, il Defikopter. Viene chiamato da una app per smartphone collegata e può raggiungere l’infartuato in qualsiasi luogo si trovi. È una bella idea, ma ha diversi lati negativi: il soccorritore casuale deve avere l’app installata, deve teleguidare il drone invece di prestare soccorso e soprattutto deve saper usare un defibrillatore. Non è un intoppo da niente per un oggetto che costa la bellezza di 26mila dollari…

5) Volare con la mente

Spaziare con la mente è una cosa che sappiamo fare dall’alba dei tempi, ma usare la propria mente per far volare realmente qualcosa è il risultato di una lunga ricerca del team del professor Bin He, dell’Università del Minnesota. Gli ingegneri biomedici hanno trovato il sistema, tramite un caschetto con sensori neurali, per telecomandare un drone (il solito quadrirotore) tramite la sola forza del pensiero, o meglio i segnali inviati dalla attività cerebrale. A parte giocare col drone, questa invenzione può essere molto utile a tutti coloro che soffrono di gravi handicap motori per avere il controllo delle cose intorno a sé.

6) Telepatia via internet

Internet fa tante belle cose, tra cui comunicare il pensiero di chi scrive una pagina web a chi la legge, ma forse non abbiamo mai immaginato che potesse comunicare un pensiero direttamente da un cervello all’altro. All’Università di Washington ci sono riusciti: un ricercatore ha pensato di muovere un dito e un secondo ricercatore, collegato in un’altra stanza con un caschetto per la stimolazione magnetica transcranica, ha mosso effettivamente il dito, ma quel che più sorprende è che questo “dato cerebrale” è stato trasmesso via internet! Così presto quando vi chiamerà la mamma disperata al telefono urlando “è sparito gùgol dal computer, fai qualcosa!”, invece di dirle passo passo cosa fare sperando che capisca, potrete prendere direttamente il controllo della sua mano sul mouse! È un’invenzione che potrebbe riportare la pace in famiglia… ;-)
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